Arriva Trigger, la nuova app per diventare più buoni grazie ai social


Se ve lo state chiedendo…no, non è una bufala. Trigger è l’esempio di come reagire in maniera positiva a un momento di stizza o di rabbia sia possibile.

L’idea di base è molto semplice: il creatore Isaac Alfton ha riscontrato – in primis nel suo approccio con i social – una sorta di liberazione nell’abbandonarsi in commenti ostili, offensivi e pseudo tali nei vari momenti di sconforto, nervosismo e debolezza.

Fare della beneficenza non è roba da duri, almeno così si pensa. E per tutti coloro i quali pensano che le ONG siano fatte di “raggi di sole e unicorni” – parafrasando Alfton – e non ci si possa quindi rispecchiare in tal mondo, ecco la soluzione adatta.

Un progetto iniziato un po’ di tempo fa, ma partorito in occasione dell’acceso clima politico creatosi in America durante le scorse elezioni. Insomma, in guerra, in amore e in politica tutto è concesso: anche donare con un tweet!

Ma come funziona?

Per utilizzare Trigger è sufficiente rispondere a un tweet non con parole o insulti, ma con un importo economico, taggando la ONG a cui si vuole donare e aggiungendo l’hashtag #TriggerGive. Ma se questo rappresenta troppo ‘bene’ per voi, potete comunque allegare un messaggio.

Quindi, ricapitoliamo: ti connetti, ti arrabbi, tagghi, doni, aggiungi l’hashtag #TriggerGive e…ti senti meglio! La coscienza è a posto.
Ovviamente, prima di donare, è necessario creare un account sulla piattaforma a cui allegare una carta o un codice bancario. Peccato che questo account però, mensilmente, scali una piccolissima percentuale per sostenere i servizi che la piattaforma offre. Anche PayPal, per garantire il servizio sicuro, aggiunge una percentuale sulla donazione pari al 2.9%.

Se vi state ancora chiedendo su che criterio dovreste poi scegliere la no-profit, anche qui Isaac ha pensato proprio a tutto: Trigger verifica quelle che davvero sono senza scopo di lucro e le passa in rassegna sulla piattaforma. Poi, ogni utente può scegliere a chi donare.

Sì, si può dire: non è del tutto una novità. Ci sono altre piattaforme simili che offrono servizi paralleli. È il caso ditinyGive o GoodWorld. In fondo, ci sono tante e tante brave persone al mondo, non solo chi sbotta e borbotta sui social. E se c’è chi lo fa, non è detto che non sia poi una brava persona. Insomma, trasformare la rabbia in bene sociale si può. Cominciamo?